Alla scoperta dei Tokyo Suicide

In occasione dell’uscita del loro nuovo singolo “Here and Now”, abbiamo fatto qualche domanda i Tokyo Suicide, progetto progressive rock con un disco all’attivo e una collaborazione importante con Derek Sherinian.
Tokyo Suicide, bentornati sulla scena dopo un’assenza durata ben tre anni. Oggi non siamo più abituati a tempi così dilatati, completamente rapiti dalla liquidità del mercato: vi va di raccontarci il perché di questo stop? Volontario o forzato?
Sicuramente non vogliamo fare parte del mercato liquido che richiede continue release. Questo andrebbe contro allo spirito “romantico” che ci fa prediligere l’ispirazione a discapito della quantità. Dopo “Selfie to die for” ci sono stati ancora anni di restrizioni che non rendevano semplici la vita in studio, ma adesso abbiamo ripreso a pieni ritmi.
Come nascono i Tokyo Suicide? Raccontateci un po’ di voi!
Il progetto Tokyo Suicide nasce nel 2019 dall’idea di mettere due batteristi- polistrumentisti nello stesso studio, unendo generi e formazioni completamente diverse in uno stile che non vuole essere rappresentativo di nessun altro genere. Lo scopo è ricreare la dualità elettronico-acustico, digitale-analogico. A dir la verità noi due (Sean e Agostino) ci conosciamo da sempre, e abbiamo iniziato questo progetto senza alcuna aspettativa. Poi nell’autunno 2022 abbiamo conosciuto la voce di Nicole, che ha portato a uno slancio produttivo e un’evoluzione importante della band. Infine, nei primi mesi del 2023, la formazione si è ulteriormente definita grazie a Giuditta, violoncellista che proviene dal mondo della musica classica.
“Selfie to die for” sembrava aver messo in luce la potenzialità di un progetto che fa della contaminazione e del cross-over la propria parola d’ordine: esiste un filo rosso che secondo voi collega il vostro disco con l’ultimo singolo pubblicato?
I due album sono estremamente diversi ma fondamentalmente uguali. Consideriamo questo secondo album un’evoluzione di “Selfie to die for”. La sottile linea rossa che li unisce è il tipo di composizione e l’utilizzo dominante di sintetizzatori. L’evoluzione consiste soprattutto nelle atmosfere che prima erano scure e piovose, allegoria di un sistema sociale distopico, disgregato e alienante (come in “Metropolis” di Fritz Lang), difficile da soverchiare. In questo secondo disco invece tutto si è aperto: siamo usciti dalla caverna di Platone.
“Here and Now” abbassa i toni rispetto al vostro disco, ma allo stesso tempo crea atmosfere che sembrano avvolgersi di ulteriore mistero. Come nasce la canzone?
“Here and now” è una profonda analisi dei sentimenti umani trasformata in testo, che è poi sfociata in musica durante una serata che stava per finire. Era quasi mezzanotte, Nicole stava per andarsene dallo studio con la borsa in spalla, quando le note di Moog spontanee sono nate sulla batteria, e in quell’immediato abbiamo iniziato a intonare il ritornello che poi ha dato il titolo alla canzone. La batteria fa da colonna portante a un moog che scandisce la trama. È stato il primo brano che abbiamo fatto ascoltare a Derek, che è entrato subito in sintonia con la band, fornendo quell’alchimia e quell’atmosfera che ci ha completati.
Tra l’altro, su “Here and now” avete potuto godere del prezioso contributo di un artista che in molti conosceranno, sulle nostre colonne: Derek Sherinian, storico tastierista dei Dream Theater. Come lo avete conosciuto, e com’è stato lavorare con lui?
C’eravamo conosciuti diversi anni fa a un suo concerto, a Milano, dei Planet X. Ci siamo risentiti all’inizio del 2023 grazie ai social network, quando il disco era a buon punto. Gli abbiamo mandato il materiale pronto e alcune sessioni di batteria scritte appositamente per lui. È stato tutto molto fluido: Derek è un musicista straordinario, oltre che un artista con la “A” maiuscola ed il flusso delle idee e delle composizioni è stato molto naturale. Ci siamo confrontati spesso sui suoni da usare e sugli assoli, e credo che abbia contribuito a spingerci oltre quelli che credevamo fossero i nostri limiti. È stato fantastico!
Il vostro è un genere che in Italia sembra avere poco spazio, subissati come siamo dalle proposte radiofoniche del Venerdì. Quale credete che sia il futuro del rock e della sperimentazione, in un Paese che lascia così poco spazio all’alternativa del mainstream?
Purtroppo credo tu abbia centrato in pieno la questione. Il cantautorato spicciolo dei talent impera e abbiamo perso il focus dell’innovazione. Anche la musica di qualità è spesso sui binari del commerciale. La sperimentazione resiste sicuramente negli ambiti underground, ma non la si vede circolare troppo per un ovvio discorso di mercato. Vi sono realtà di avanguardia, come la trap, la drill, ma sempre e comunque relegate al mondo pop/rap. E a dirla tutta ancora c’è da capire se, oltre a rompere le regole musicali e culturali, porteranno poi a una nuova cultura o solo alla perdita dei valori.
Salutiamoci con una promessa, quella che volete voi!
Promettiamo di disattendere tutte le promesse.