La cura all’olezzo della musica contemporanea sta nel “Fiore” di Artegiani

“Fiore”, il nuovo disco di Giovanni Artegiani, ci ha colpito fin da primo ascolto e di certo non potevamo esimerci dal scriverne qualche parole a riguardo, fosse solo per riscoprire l’importanza che ha, oggi, non smettere di ricercare musica che sappia farci stare bene, oltre i numeri, i palchi patinati e le riviste specializzate nel celebrare divinità di pezza.
Sì, perché nel grande caos della discografia nazionale sembra quasi che la bellezza e la spontaneità abbiamo lasciato il posto alla sicurezza che ci dà la playlist di turno o la prima pagina del magazine cool che racconta di miracoli musicali che tutto sono tranne che “divini”: in questo traffico di truffe e manipolazioni culturali, ci stiamo dimenticando come si fa ad affinare un proprio gusto e a difenderlo da un’industria culturale che ha reso le canzoni un divertissement senza riparo, e gli artisti soubrette per lo più povere, perché il loro “didietro” non costa più come un tempo e non li fa guadagnare come ai bei tempi che furono, anche se tutti s’impegnano ad apparire il più “vendibili” possibile al mercato: da quando la “vendibilità” è diventato il valore primario di un’opera d’arte?
Insomma, in questo marasma ci è capitato fra le mani “Fiore”, il nuovo disco di Artegiani, e non abbiamo potuto far altro che dire: “finalmente”. Sì, perché la tracklist del disco è un susseguirsi di piccole poesie (più o meno arrabbiate, del tutto innamorate) che raccontano una dimensione speciale della scrittura, vista come un luogo sicuro in cui rifugiarsi quando tutto intorno sembra crollare a pezzi: e così, anche il dolore di un amore perso finisce con il recuperare brillantezza attraverso la narrazione di una canzone che riesca a “raffinare” il ricordo, lasciandoci in bocca il gusto del “è stato meglio lasciarsi che non esserci mai incontrati” (Faber, sei sempre con noi!).
Un lavoro che trova le sue punte di diamanti nelle ballate “Quando amore non è” è “Faccia d’angelo”, tirando fuori un bel concentrato pop che si esalta nella scrittura intima e riflessiva (e per niente scontata sopratutto) di Giovanni, nome da tenere d’occhio per il futuro: quanto meno, per quei momenti in cui potrebbe servirvi ricordare che esiste, al di sotto della spessa e noiosissima superficie dell’emerso, un sottobosco tutto da scoprire, che merita di essere difeso dalla “semplificazione” istituzionalizzata del nostro tempo.