Tra i dubbi e le preghiere di Jonah: intervista su un disco che sa di incenso

Sapete che, qui su Machenesannoglialtri, siamo sempre molto interessati a tutti quei progetti che, a proprio modo, raccontano cose che non sappiamo, o meglio, che nel profondo magari sappiamo ma accettarle è dura.
Anche quando basterebbe un “amen” per mettere il punto a tante questioni che dovremmo lasciare andare, oppure un “e così sia” per accettare che a volte si possa perdere e cadere, per poi rinascere e rialzarsi più forte e (soprattutto) più consapevoli di prima: noi, insomma, siamo di quelli che amano la musica che genera domande piuttosto che quella che fornisce facili risposte.
Inutile dire, insomma, che il primo disco de La Preghiera di Jonah sia uno di quei lavori che, wow, di domande ne cela e ne regala eccome! Insomma, il soggetto perfetto per una delle nostre tipiche interviste…
Ciao care Preghiere, questa è un’intervista un po’ pazzerella e giocherellona: levatevi quell’espressione preoccupata, non mordiamo mica! Sulle nostre colonne, invitiamo gli artisti a raccontare solo “cose che gli altri non sanno”, o che agli altri non dite: e allora forza, rivelateci il vero motivo del perché vi chiamate “La Preghiera di Jonah”, perché lo sappiamo che agli altri non l’avete detto!
Ciao! Allora voglio rispondere anche io in modo pazzerello come non ho mai fatto, il motivo per cui esiste questo nome è nel libro del profeta Giona 4,9.
Ma che ne sanno gli altri di che rapporto avete, voi, con la fede, la Chiesa e la religione? Perché queste sono domande che altrove non vengono poste…
Come in molte relazioni, c’è un rapporto di amore\odio. La fede è importante, la religione ti aiuta a capire alcune cose e la chiesa è fatta di uomini, con i suoi pro e contro.
Nel vostro disco, sono diverse le canzoni che parlano di fatti crudi, se vogliamo anche di “cronaca nera”: ma che ne sanno gli altri di cosa vi ha spinto, ad un certo punto della vostra vita, a lasciare l’ingenuità dell’infanzia e a diventare “grandi”?
(Divento serio un attimo) Essere leggeri, è una virtù di pochi, ci proviamo, e ci alleniamo a farlo. Ma la vita non è affatto leggera. Ti mette di fronte a storie e situazioni che ti cambiano e anche se vissute indirettamente ti entrano dentro, ti lascia un segno o meglio un disegno, che se non sputi fuori diventa un grandissimo buco nero e ti trascina giù.
In “Case Popolari” prendete le distanze (senza realmente poi prenderle) dal vostro paese natale. Ma che ne sanno gli altri, che vivono in grandi città, di quanto possa essere tremendo (ma anche, talvolta, bellissimo) vivere in periferia, o in un paese?
Vivere in un piccolo paese di provincia, è un po come vivere su un isola. Stai bene finché non ti accorgi di essere su un isola e che fuori c’è il mondo. Quindi ti inizia lentamente a stare stretto anche se spesso quel senso di stritolamenti può essere confortevole, bisogna fare molta attenzione.
In “Milano”, rimanendo in tema di grandi città tentacolari, raccontate anche l’amore attraverso lo spioncino di una serratura. Ma che ne sanno gli altri di cosa voglia dire provare ad amare rinchiusi in un corpo che sembra non appartenerci?
Amare è una delle cose che ci rende vivi. Sembra (doppia esse) Smielato e Scontato, ma amare non dovrebbe mai essere limitante, mai rinchiuderci o farci sentire sbagliati.
Ma che ne sanno gli altri di che corpo vorreste avere, care Preghierine?
Il corpo è solamente una scatola, sudato, sporco, graffiato, bello, appariscente o ordinato, resta solamente un taglio su un a tela. In continua evoluzione e nemmeno ci rendiamo conto dei continui cambiamenti che vive. Il corpo che vorremmo è esattamente il nostro.
Ma che ne sanno gli altri di quali siano i santi a cui avete raccomandato questo disco, nella speranza che dal cielo vi proteggano e non lancino più fulmini e saette sulla martoriata situazione generale?
Prima o poi tutti i nodi arrivano al pettino e se non sarà cosi ci penserà “Maria che scioglie i nodi”.