Affondare negli Inverni di Pintus è facilissimo (e molto bello)

Affondare negli Inverni di Pintus è facilissimo (e molto bello)

Francesco Pintus ci ha convinti sin da primo ascolto che il suo primo di disco non sarebbe stato di certo il classico ascolto del weekend.

Anche perché, se lo prendi sottogamba, “Inverni” finisce con l’entrati nella pelle e a raccontarti di cose – le tue – che non credevi potessero essere così “messe a fuoco” da qualcun altro, a maggior ragione da uno sconosciuto ramingo mezzo campano e mezzo calabrese che adesso vive in Veneto. Insomma, come potrebbe una persona che ha fatto dell’instabilità e del moto perpetuo il propio quid esistenziale raccontarti qualcosa di te che sia “fissato”, immobile e finalmente “vero”?

Quello che Pintus invece sembra voler dirti, a dispetto da quello che vorresti sentirti dire, è che la stabilità è un lusso che appartiene solo (pronti?) ai morti e finché si è vivi si ha il dovere di combattere, di non mollare la presa sul futuro e sopratutto sulla somma di dubbi e domande che affollano la testa di tutti: esiste vita dove non resiste il movimento? E’ possibile arrivare da qualche parte senza spostarsi? Cosa sono le risposte, senza la potenza delle domande e la curiosità del dubbio?

Le nove tracce del disco di Pintus incoraggiano un approccio alla vita che fa dell’introspezione il proprio motore portante, scavando in profondità nella sensibilità di un’anima fragile e tremendamente vera, che con le parole fa un po’ quello che vuole perché non ha “pose”, né volontà emulative: la scrittura di Francesco è libera, e poco interessata a rientrare in standard che non gli appartengono; basti pensare ad “Inverni”, la potente title-track che riassume – a suo modo – il manifesto del disco (passerà anche questo inverno senza far male, come direbbe forse De André nell’era di Pintus), che potrebbe benissimo far parte di un disco dei Verdena (uno dei primi), oppure il senso di afflato generazionale che si respira attraverso “Sistemi complessi”, o “Noia”. O ancora, lo slancio pop impossibile da resistere che esala “Scacco”, ottima comprimaria del vero singolo del disco, “Fuori Fase”.

L’ascolto, insomma, scorre con una leggerezza infinita, che – come direbbe Calvino – non è superficialità, affatto: c’è piuttosto uno slancio che vuole scendere negli abissi, ma per risalirne con una fottuta e sanissima voglia di nuotare, dopo aver imparato con fatica a stare a galla.

Sara Alice Ceccarelli

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